«It’s
like poetry. They rhyme».
Così Lucas
descriveva la visione sulla sua opera.
Ed è ciò che
non ho visto in The Rise of Skywalker. Episodio IX è il film che stona.
È il film del potenziale sprecato. Odio la parola, ma è il film del fanservice
da fanfiction scritta male, delle risposte che portano solo verso altri dubbi
(forse “L’Ascesa delle domande” sarebbe stato un titolo migliore). È il film
che banalizza i concetti, più che esprimerli. E che non rende giustizia ai
personaggi che hanno retto l’intera saga.
C’è molto di
cui parlare, molto di cui lamentarsi.
La prima
visione mi ha emozionata, sì, anche se non per ciò che stavo guardando: l’emozione
regge sulle spalle dei film precedenti, deriva dal titolo (è STAR WARS, cazzo),
è figlia del lavoro di altri autori. Però sono contenta di essere uscita dalla
saga col magone, perché comunque Abrams ci prova e ci sono anche aspetti molto
positivi.
Mi voglio
focalizzare, però, sull’aspetto di questa trilogia che più mi affascina. Anzi,
il personaggio: Ben Solo.
L’ho sempre
visto come il riflesso speculare di Anakin: il viaggio al contrario del cattivo
che diventa eroe. Il suo percorso parte dal ricordo di Vader – eco della trilogia
originale – e si muove verso l’Anakin della fine di Episodio III, quello che
chiede a Padmé di governare insieme la galassia (Episodio VIII lo fa notare
bene con il parallelismo delle scene).
La direzione
presa da Episodio IX è corretta nella
visione generale, ma manca del giusto pathos. Bello il duello con Rey, meravigliosa
la scena con Han che riprende l’inizio dell’arco narrativo, ma ci voleva di
più.
Quanto sarebbe
stato emozionante ricreare dinamiche simili al duello finale di Episodio III (di
gran lunga la scena più drammatica di tutto Star Wars). Io già lo vedevo: l’acqua
lì dove c’era lava, parole di pace da parte di Rey lì dove c’erano le urla di
Kenobi, e la redenzione lì dove c’era odio, rabbia e sofferenza. Fanservice? Sì,
tanto, ma fatto bene.
Non voglio soffermarmi
su ciò che poteva essere, né voglio insinuare che la redenzione di Ben sia
sbagliata, anzi. Ma mi sembra sia stata poco significativa nel contesto del
simbolismo che Ben e Anakin rappresentano l’uno per l’altro. Come se il primo
Skywalker, colui che ha iniziato tutto, fosse stato messo da parte –
dimenticato – anche in ciò che il nipote poteva rispecchiare.
In ultimo,
avrei voluto parità di protagonismo in questa nuova Diade. Rey mi è piaciuta (è
sempre un’eroina senza macchia e senza paura, ma sono riuscita a empatizzare
con lei) e ho adorato la scena del “rise”, con i Jedi che “sono con lei”, ma
Ben è… sfumato, come il resto degli Skywalker (non se ne salva quasi nessuno). Un
confronto in due – come Diade, appunto – contro Palpatine avrebbe reso
giustizia non solo a Ben, ma all’intera dinastia – che dopo questo film rimane solamente
un disastro di cui la galassia avrebbe volentieri fatto a meno.
Ci meritavamo
un finale dove i due Skywalker – quello di sangue e quella di spirito – insieme
e come uno ponessero fine alla minaccia e rendessero giustizia alla famiglia
che di questa saga è la vera protagonista.
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